Gerusalemme incontra la Formula 1. Ma lo show della Ferrari è un caso politico

sabato 15 giugno 2013 · Fuori tema
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Due giorni di show a base di motori che segnano lo sbarco della Formula 1 a Gerusalemme, su un percorso improvvisato di circa tre chilometri sotto le mura della città vecchia. Special guest, la rossa di Maranello in versione F60 guidata da Giancarlo Fisichella che quell’auto l’aveva ufficialmente ereditato nei Gran Premi nel 2009 dopo l’infortunio di Felipe Massa a Budapest.

L’organizzazione è a carico dell’amministrazione con il supporto di Kaspersky Lab che da novembre 2010 è sponsor ufficiale della Ferrari. Ma in pista c’è anche la Marussia con Rodolfo Gonzalez, più altre stelle della superbike.

Gli spettatori secondo gli organizzatori arrivano a cifre da capogiro, praticamente numeri da Gran Premio: sessantamila giovedì, addirittura duecentomila venerdì. Israeliani e palestinesi. Insieme. Non a caso si chiama Peace Roadshow. Dice il sindaco: “Le corse le amano tutti. Abbiamo visto persone di ogni ramo della società che stavano vicine e andavano d’accordo”.

Dal punto di vista strettamente politico l’evento invece è diventato un caso perché l’Autorità Nazionale Palestinese lo interpreta come un atto di prepotenza con cui Israele intende comprovare la sovranità sulla capitale.

Senza sbocchi sul mare e senza fiumi, Gerusalemme storicamente è contesa tra Israele e Palestina in virtù della sua valenza religiosa più che strategica. Oggi comprende territori che le Nazioni Unite non riconoscono internazionalmente come israeliani.

Adnan Husseini, del fronte palestinese, alla BBC racconta: “Le provano tutte per proteggere i propri fini. Ora vogliono mostrare che la questione di Gerusalemme è risolta. Ma non è così. Non è affatto così”. Nel frattempo la Formula 1 è un’altra volta uno strumento politico dentro una cornice di marketing che la Ferrari non ha voluto farsi scappare.

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