Budapest, l’impresa folle e vana di Alonso che spinge la McLaren e non conosce le regole

sabato 25 luglio 2015 · Gran Premi
tempo di lettura: 2 minuti

È già il simbolo di tutta una stagione di stenti, l’immagine di Alonso che spinge a fatica la McLaren nella salita dell’ultimo tornante della pista di Budapest. Rievoca gesta più epiche, Brabham a Sebring nel ’59, Ireland a Montecarlo nel ’70, Mansell a Dallas nel 1984 nella gara più calda di sempre.

Casi diversi d’accordo, dove c’erano in palio i punti della corsa. Matador invece per quanto disperato e volitivo in quel momento insegue solamente la possibilità di un altro tentativo di qualifica, su un tracciato che per insipienza tecnica ridesta perfino un catorcio come l’Honda.

Insomma Nando prova a rientrare in pit-lane per sperare che il team rimetta in sesto il guasto, un cavo sconnesso si viene a sapere in serata. Mancano sette minuti alla bandiera a scacchi della seconda eliminatoria di qualifica, Alonso inizia a spingere in regime di bandiere gialle, poi la direzione corsa dà il rosso e a quel punto intervengono anche i commissari di percorso dell’ultima postazione.

Non è il massimo per la sicurezza, fuori ci sono ancora altre macchine che proprio per effetto della sospensione della sessione sono obbligate a rientrare e devono imboccare la corsia dei box. Sfiorando pericolosamente Alonso e altri cinque uomini.

Un rischio assurdo che la Fia non punisce. A dimostrazione che dalla tragedia di Bianchi non s’è imparato niente.

Che poi, alla fine la faticaccia di Alonso è pure inutile. Primo: perché la squadra il guasto non l’accomoda in tempo. Secondo: perché comunque il regolamento vieta di tornare in pista a chi non raggiunge i box coi propri mezzi. E Fernando ‘sta cosa poteva pure saperla.

Dice: “Mi pare strano, perché altre volte abbiamo visto che le auto venivano riportate nei garage su un trattore e potevano ricominciare”. Già, ma quella è una regola che vale per le prove libere.

Alonso, Bianchi, Budapest, Honda, Mansell, McLaren,