Arrivabene, la Ferrari e gli avvocati: come perdere la faccia dopo aver perso già il podio

sabato 12 novembre 2016 · Politica
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È il punto più basso del nuovo corso di Maurizio Arrivabene, un’altra crepa a Maranello, più profonda e più grave di tutte le strategie maldestre del muretto e delle umiliazioni in pista. Perché qui il discorso è soprattutto politico, finisce male per il morale e per la faccia il tentativo di riaprire la discussione sui fatti del Messico per recuperare il podio di Vettel.

La Ferrari in settimana nell’impulso della ricerca disperata di autorità sotto la pressione di certa stampa aveva scritto alla Federazione per un reclamo. Tardivo, in effetti, al di là dei contenuti e delle motivazioni.

L’aveva giustificato come un atto dovuto, alla luce dell’importanza della questione come un precedente per il futuro. Del resto, in Messico s’è applicata per la prima volta la nuova direttiva sulla condotta in difesa, per cui il riesame, in un certo senso, ci poteva pure stare.

Qui subentra un cavillo del regolamento sportivo: com’è stato nel 2014 per l’incidente tra Massa e Perez al Gran Premio del Canada, alla Fia per riconsiderare le motivazioni delle sanzioni non più appellabili servono “nuove prove”. E la Ferrari per giorni ha sostenuto di poterle produrre, senza entrare nel merito. Arrivabene a Interlagos in conferenza stampa venerdì ancora diceva: “Non è questa la sede per svelarle, tra 40 minuti c’è una videoconferenza in cui ne parleremo”.

La videoconferenza, appunto: Jock Clear per la Ferrari, Chris Horner e Jonathan Wheatley per la Red Bull, tutto il pool dei commissari del Gran Premio del Messico a rappresentare la Fia. Qui la Ferrari ha scoperto le carte su cui teneva il riserbo. Due carte. Entrambe basse.

Ovvero: punto primo, Charlie Whiting secondo il Cavallino “aveva il potere”, inteso come peso e calibro, di imporre a Verstappen di cedere la posizione, in quel caso la lotta avrebbe preso un’altra piega, Vettel non avrebbe mai dovuto respingere Ricciardo. È un punto che per la Fia “non è rilevante” ai fini della penalizzazione. Giustamente, perché la scorrettezza di Vettel resta, a prescindere dalle condizioni al contorno. Oltre al fatto che un’osservazione sui doveri di Whiting non è una prova come la intende il codice sportivo.

Punto secondo, i dati del gps. Che sono prove, ma non sono nuove: le squadre e la giuria di gara ne dispongono per tutta la corsa. Ad ogni modo, la Fia nel comunicato scrive un paragrafo che sa di sputtanamento:

Quando è stato chiesto se i dati del gps potevano contraddire in qualche modo la telemetria o qualunque altra prova dalla quale i commissari avevano potuto concludere che la macchina numero 5 (Vettel, ndr) aveva sterzato in frenata, Mr Clear ha risposto di no.

Cioè, ammesso che i dati del gps fossero stati effettivamente ammessi al riesame, la sostanza dei fatti nemmeno sarebbe cambiata. Un autogol praticamente.

In sintesi: il podio del Messico resta a Ricciardo e la Ferrari incassa una sconfitta penosa sul piano giuridico per via di una strategia difensiva inconsistente, balbettante e disorganica. Qualche avvocato andrebbe rimosso. E forse anche qualche dirigente. Il suggello ideale di un’annata disperata.

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