Bahrain, ultimo nodo: la sicurezza. Ma le squadre vogliono gara e soldi

lunedì 9 aprile 2012 · Politica
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Chris Horner in Malesia assicurava: “Ci fidiamo del giudizio della FIA”. Schumacher nel 2001 non voleva correre a Indianapolis dopo gli attacchi dell’11 settembre. Adesso la Formula 1 è ufficialmente motivo di contestazione in Bahrain, però lui dice: “Se ritengono che è sicuro, ci possiamo andare”.

Dal momento che la questione morale non la pone nessuno, è la sicurezza l’ultimo punto da sbloccare. E qui dietro il conflitto a fuoco di Manama si gioca il conflitto d’interessi di Jean Todt che con la casa reale del Bahrain ha rapporti strettissimi, politici ed economici.

Un portavoce della FIA, raggiunto da Reuters spiega: “Teniamo sotto controllo la situazione. Siamo in contatto giornaliero con le più alte autorità governative, le maggiori ambasciate europee e i promotori locali del Gran Premio”.

Ma governo e promotori comunque sono parte in causa. Il Bahrain nel 2011 senza la Formula 1 ha perso 500 milioni di dollari. Zayed al-Zayani, il presidente del circuito di Sakhir, conferma che il week-end del Gran Premio porta all’economia dello stato qualcosa “tra 250 e 400 milioni di dollari”.

L’economia gira anche a favore dei team. Formula Money calcola che la Ferrari nel 2011 per effetto della cancellazione di Sakhir ha perso quasi 6 milioni di euro. E poi c’è un fondo del Bahrain che detiene il 50 percento del pacchetto della McLaren.

In più, per tutte le squadre ogni corsa determina una percentuale sui diritti commerciali e sugli sponsor. E i soldi valgono più dei rischi e dei diritti umani.

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