Pit-stop, record e rischi. L’allarme di Marc Priestley

venerdì 5 aprile 2013 · Dal paddock
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Due secondi e 5 centesimi: è il tempo complessivo che ha impiegato la Red Bull per il pit-stop di Mark Webber a Sepang. Il primato precedente risaliva al Gran Premio di Germania del 2012 e l’aveva stabilito la McLaren, 2.31 secondi per la sosta di Jenson Button.

La Red Bull fa pure sapere che in Malesia quel record l’ha battuto cinque volte su un totale di otto pit-stop. Ma i tempi ai box si sono contratti anche per le altre squadre, perché sulla base dei dati raccolti da Auto Motor und Sport, sempre a Sepang la McLaren ha completato la sosta di Button in 2.28; la Mercedes quella di Rosberg in 2.29.

Senza diffondere i dati ufficiali, nel 2011 la Mercedes aveva calcolato che il primato dei pit-stop più rapidi già spettava alla Red Bull. Che ritiene sia possibile completare un cambio gomme sotto il muro dei 2 secondi nell’ipotesi in cui ogni meccanico realizzi il proprio parziale migliore: “È possibile – scrive il team – che il muro venga abbattuto nel corso dell’anno”.

È una corsa al record che esaspera un’operazione ad altissimo rischio. Lo faceva notare Massa due anni fa: “Da quando sono stati aboliti i rifornimenti non c’è più quel tempo cuscinetto che consentiva di fare tutte le operazioni con calma”.

Marc Priestley, detto Elvis, che tra il 1999 e il 2009 ha fatto parte della truppa del pit-stop alla McLaren, sul suo blog scrive: “C’è una linea sottilissima tra una sosta perfetta in cui tutte le pistole operano perfettamente all’unisono, e un completo disastro. La prospettiva è che il pit-stop diventi troppo rapido, impedisca alle capacità umane di reagire a un problema e comporti dei problemi di sicurezza”. E la Malesia oltre ai record ha offerto anche diverse situazioni di pericolo.

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