Ridateci i motori V10, ma anche no

mercoledì 16 dicembre 2020 · Tecnica
tempo di lettura: 2 minuti

Eva Clesis ha scritto un libro che riprende un vecchio adagio non confermato e non smentito, si chiama 101 motivi per cui le donne ragionano con il cervello e gli uomini con il pisello. E i tifosi con le orecchie, evidentemente, a giudicare dalla nuova ondata di malinconico gusto retrogrado dopo l’esibizione di Fernando Alonso sulla Renault del 2005 ad Abu Dhabi.

L’auto, innanzitutto: è quella del primo titolo di Matador, bellissima esteticamente in quei colori che per una fortunata coincidenza sono gli stessi delle Asturie di Alonso, giallo istituzionale della Renault, azzurro dello sponsor tabaccaio, oscurato all’occorrenza.

Motore: 3000 di cilindrata, aspirato, dieci cilindri. Soprattutto, roboante. È questo l’elemento che s’è perso con l’ibrido: “Ci manca questo suono incomparabile”, dice Alonso a un giornalista compiaciuto.

E allora la platea populista e caciarona della rete torna a chiedere più chiasso, in ossequio all’equazione primordiale e sensoriale secondo cui più rumore vuol dire più potenza.

All’orecchio risponde il cervello, offre ragioni più solide a favore del futuro. E vale la pena ribadirle, espresse in percentuali fredde e infallibili, opportunamente aggiornate secondo i dati delle squadre.

Punto primo, l’efficienza energetica: il rendimento termico nel 2014 è schizzato immediatamente dal 29 dei V8 al 40 per cento, oggi si attesta sul 50. Punto secondo, il consumo: giù del 40% che si traduce in un taglio del 25% delle emissioni di anidride carbonica, in linea con la filosofia ambientalista della Fia e della Formula 1. Punto terzo, la velocità massima: nel 2005 a Monza si toccavano i 370 all’ora, Bottas nel 2016 ha fatto 378 a Baku in qualifica, con un’auto almeno 120 chili più pesante. Fine.

Abu Dhabi, Alonso, Baku, Monza, Renault, V6 turbo,