Come investire 200 milioni di dollari in Formula 1

giovedì 25 marzo 2021 · Politica
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L’ultimo ingresso da zero, cioè senza rebranding di un garage già piazzato, risale al 2016 con l’Haas. Altri tempi, quando lo scambio di parti e progetti era più libertino. Nessuna novità invece nel 2021, né in proiezione 2022 e forse pure oltre.

Due i motivi. Prima di tutto gli strascichi della pandemia da coronavirus. Secondo, il nuovo Patto della Concordia, che da un lato tende la mano con il tetto di budget, dall’altra fissa una clausola mica da niente, una tassa di ingresso di 200 milioni di dollari, quasi 170 milioni di euro.

È una misura che la Formula 1 ha voluto a tutela delle piccole squadre: chi ne compra una già avviata – e magari la sottrae alla bancarotta – non paga l’iscrizione. Altrimenti, quei soldi finiscono nelle tasche di chi già corre, secondo il solito schema di suddivisione dei proventi.

Dice Eddie Jordan a Racefans.net che lui, con un sistema del genere negli anni Novanta, mai sarebbe entrato nel circo:

It makes the sport a bit like a franchise and it would have curtailed teams like Jordan entering Formula 1.

Jordan came through Formula 4, Formula 3 and 3000 and won all the races in those categories to be able to get the superlicence to move forward. This stops all of that, so I’m wholly against it.

E in effetti c’è questo nuovo balzello – ma non solo questo, probabilmente – dietro la latitanza di Panthera che nel 2019 annunciava l’avvio delle manovre verso il paddock.

Oggi non c’è un sito web, non una pagina social ufficiale. Il declino di Panthera ricorda in tutto e per tutto quello di USF1, un’altra idea velleitaria senza base e senza soldi.

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