Quella telefonata di Toto Wolff a papà Verstappen

domenica 13 novembre 2016 · Dal paddock
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Le chiamano ingerenze: “Mai visto niente del genere, telefonare al padre di un pilota – sbuffa Helmut Marko – per condizionarlo. La trovo una caduta di stile”. Duro pure Chris Horner: “Se la Mercedes vuole correre da sola faccia le gare alle 11. Poi alle 14 corriamo noi”.

La telefonata c’è stata, non se l’è inventata nessuno: “Ma vedete –spiega Toto Wolff – io quella famiglia la conosco da un bel po’. E quindi telefono. Telefono a chi mi pare”.

È successo che qualcuno ha voluto montarci un caso: “Qualcosa di sproporzionato, non so chi l’abbia fatto. Anzi, probabilmente lo so”.

Da parte sua niente da nascondere sui contenuti della conversazione con Jos Verstappen: “Com’è successo già altre volte, parliamo di tutto. Di corse, di giovani piloti, di sua figlia, di karting”. Evidentemente, anche di Max: “E quello che ho detto a questo proposito era soltanto per affetto. Nei confronti di Max e Jos”.

Ovvero: “Volevo che suo padre capisse che sarebbe un peccato se Max interferisse con la battaglia per il titolo facendo una manovra sconsiderata. Era una mia opinione, come persona, non come Mercedes. Se ci fosse un incidente con Lewis o Nico, non farebbe altro che aggiungere elementi negativi sulla stampa”.

Nessuna paternale quindi: “Un consiglio, piuttosto”. Pienamente giustificato, del resto: in Messico due volte baby Verstappen stava per mandare Rosberg a tappeto, la prima al via, la seconda quando ha cercato un sorpasso impossibile a ruote bloccate, a rischio di macchiarsi il curriculum.

Perché poi certe vaccate non si cancellano più. Jean Louis Schlesser nei libri di storia è sempre quello che ha tolto a Senna una vittoria a Monza.

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