L’altra verità: la spy-story nell’autobiografia di Nigel Stepney

martedì 5 febbraio 2008 · Fuori tema
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Nigel Stepney si fa vivo. Torna a parlare di quel malloppo di dati svelati alla McLaren. È la prima dichiarazione pubblica dopo la chiusura del processo sportivo: “Qualcuno ha usato quelle informazioni ben al di là di quello che mi aspettavo. Non avrebbero dovuto farlo in modo così esagerato. Non mi sento responsabile del punto a cui sono arrivati”.

A ottobre aveva anche suggerito la possibilità che il flusso di informazioni non fosse monodirezionale. E cioè: Maranello sapeva dei piani della McLaren, esattamente come a Woking sapevano della Ferrari. Un’ipotesi che le indagini non confermano e che il team inglese non ha mai tirato in ballo.

Non è la prima volta, comunque, che Stepney si arrampica sugli specchi. Al Sunday Times dichiarò: “Mi avevano spostato allo sviluppo performance, trattato come un traditore perché non volevo più viaggiare. Mi hanno schiacciato appena ho contestato il sistema. In Italia andare contro la Ferrari è come attaccare il Vaticano”.

Stepney accenna anche a una storia di pedinamenti, una fuga verso le Filippine: “Ci sono stati inseguimenti in auto mentre ero con la mia fidanzata. Abbiamo fermato dei tipi che si sono rifiutati di parlare. Non credo fossero giornalisti. Ci hanno spiato, sulla mia auto c’era un rilevatore di posizione. Non avevo altra scelta che andarmene dall’Italia”.

Per chi volesse saperne di più, Stepney sta già lavorando alla sua autobiografia. Dovrebbe chiamarsi Nebbia rossa. E sarebbe l’ultimo – disperato – tentativo di dimostrare al mondo che la maggior parte delle notizie diffuse sulla stampa sono montate e manipolate.

“La Ferrari è terrorizzata da quello che so. Posso dire dove sono nascosti i cadaveri degli ultimi 14 anni”. La risposta di Todt: “Ha perso la testa”.

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