Austin, Port Imperial e Long Beach: la chimera dell’asse americano

mercoledì 26 marzo 2014 · Amarcord
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Long Beach, California, contea di Los Angeles, pista cittadina. La Formula 1 sta pensando di tornarci. La mente del progetto si chiama Chris Pook. Ancora, perché è lui che dagli anni Settanta si occupa dell’evento. Prima Formula 5000, poi Formula 1 fino al 1983, quindi ancora Champcar e Indycar.

Dalla città non vuole soldi. Però l’amministrazione deve firmargli l’autorizzazione a intervenire sul circuito e sulle strutture, soprattutto per mettere in piedi un nuovo complesso a due piani che dà sullo Shoreline Drive.

Interventi che nel complesso costano dieci milioni di dollari e sono a carico esclusivo dei promotori: “Qualcuno ha parlato di 60 milioni, per cui questa cifra – dice Pook – si è stampata in testa alla gente. Ma quello che dobbiamo spendere non è nemmeno vicino a un numero del genere”.

Secondo il comitato della corsa, la Formula 1 può portare soldi vivi. Austin nel 2013 ha guadagnato 4 milioni e mezzo di dollari, il Texas oltre 15. Le stime indicano che a Long Beach, eventualmente, il 98 per cento del pubblico verrebbe da fuori, il 25 per cento da altri stati.

Pook vuole la gara entro il 2016, alla scadenza del contratto con l’Indycar che sta trattando il ritorno a San Paolo. Ecclestone la valuta in alternativa a Port Imperial che slitta da due anni. Potenzialmente, può venirne fuori un asse americano fortissimo: una gara nell’entroterra, una su ogni costa. Roba che nemmeno negli anni Ottanta.

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