Il crollo del campione

venerdì 2 dicembre 2016 · Mercato
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È la resa del campione che crolla sotto il peso dello stress. Svuotato dal mondiale, terrorizzato di fronte al pensiero di un altro anno così, Rosberg molla tutto a cinque giorni dalla consacrazione di Abu Dhabi. A 31 anni.

Chiude la carriera al vertice, come altri big in altri mondi, del resto: Flavia Pennetta, Michael Jordan, Tania Cagnotto, Bjorn Borg, Pete Sampras, Michel Platini.

Posato, sereno, da Vienna al gala dove la Fia consegna i riconoscimenti per tutti i campionati, Rosberg in mattinata anticipa quello che più tardi chiarisce su Facebook: “È un giorno speciale perché ricevo questo trofeo. Ma stasera sarà incredibile per un’altra ragione. Qui finisce la mia carriera in Formula 1”.

Commossa, profonda e toccante la lettera a cui affida le motivazioni: “Il mio unico, grande obiettivo era diventare campione del mondo in Formula 1. Adesso ho scalato la montagna, sono arrivato in cima e mi sembra giusto così”.

Di ritorno da Abu Dhabi ad Autosport diceva: “La chiave è stato il Gran Premio degli Usa l’anno scorso“. Ovvero: il testacoda che dà vittoria e certezza del titolo a Hamilton. Ma un peso forse ce l’ha pure quel gesto che lui vive come un affronto, il lancio del cappellino del secondo classificato nella saletta dietro il podio.

È una svolta, mette in moto rivalsa, orgoglio, rabbia feroce: “Le delusioni – scrive Nico – hanno portato la mia motivazione a livelli che non avevo sperimentato prima”. Tant’è che da quel momento lui cambia marcia, le vince tutte da lì in poi. E quello slancio se lo porta nel 2016 per mettere in cassaforte il bottino che gli consente di correre di riserva più avanti. Comunque chiedendo troppo al fisico e alla testa: “Una fatica enorme che ha avuto impatto anche sulla mia famiglia”.

Di qui la dedica del mondiale a Vivian dal podio di Abu Dhabi, un messaggio che riletto a posteriori acquista un significato anche più profondo: “Lei ha trovato il modo per farmi recuperare dopo ogni gara, si è presa cura di nostra figlia ogni notte, ha tenuto duro quando le cose sembravano difficili”.

Tecnicamente Rosberg ha un contratto, l’ha siglato a luglio. Però: “Dopo la vittoria di Suzuka la pressione è salita, ho iniziato a pensare se non fosse il caso di smettere se fossi diventato campione del mondo”. Ma avrebbe smesso comunque, anche senza il mondiale: “Domenica mattina ad Abu Dhabi sapevo che sarebbe stata la mia ultima gara, perciò cercavo di godermela fino in fondo. Ho percorso i 55 giri più intensi della mia vita”.

Non ce l’ha fatta a dirlo di persona a Wolff: “Ma Toto – ammette Nico – alla fine ha capito”. Come ha capito anche il paddock, con rispetto prende atto di un addio che è maturato un po’ alla volta e rappresenta comunque una decisione coraggiosa.

Osserva Berger: “Se fossi la Mercedes chiamerei Vettel o Alonso“. Già, perché si apre uno scenario di mercato nevrotico e imprevedibile, perché tante caselle sono andate già a posto quando non era neanche lontanamente immaginabile che si liberasse un volante caldissimo nel team dell’iride.

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