La guerra di Google alla pubblicità molesta su internet

martedì 30 maggio 2017 · Fuori tema
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Insegna Orwell che la pubblicità è “il rumore di un bastone in un secchio di rifiuti”. Nell’epoca di internet, è l’unica fonte di reddito per un sito che mantiene gratuiti i contenuti e non mette rette d’iscrizione. Ma qualcuno se ne approfitta. Anche nel campo delle testate di Formula 1, più o meno autoritarie.

La rete alla fine ha capito che certe regole bisogna darsele. Come sulla questione delle bufale. E per quanto Google abbia sempre un secondo fine per tutto, oggi sposa la causa della guerra alla pubblicità molesta attraverso un tool di Chrome che può bloccare gli ad invadenti.

Ovvero: pop-up che si aprono a tradimento, video e audio che partono da soli, reclame a tutto schermo, roba che infastidisce chi naviga – impalla la rete dati, eventualmente prosciuga il credito – e porta soldini nel salvadanaio di chi gestisce la pagina. Pochi centesimi per click che si moltiplicano con le visite.

A questo proposito da settembre esiste – e Google vi aderisce – un decalogo che classifica la pubblicità online. Viene dalla coalizione per il monitoraggio degli annunci online, Coalition for Better Ad. Ne fanno parte pure Facebook, Procter & Gamble, Unilever, il Washington Post.

In sostanza, attraverso la campagna contro le inserzioni aggressive e martellanti Google avvia una missione morale e formativa all’indirizzo di webdesigner e publisher: Chrome è il browser più diffuso, il rischio di farsi bloccare gli annunci è consistente e va pesato.

Di fatto, il colosso della G intraprende un’azione che potenzialmente taglia le gambe alla concorrenza perché la pubblicità molesta normalmente viene da publisher esterni al circuito di Adsense che invece è soggetto a un codice di regolamentazione più chiaro a tutela del navigatore: limite di annunci per pagina, dimensioni, colori. Anche se qualcuno che l’aggira pure c’è.

È in questo contesto di lotta ai furbetti che Google ha lanciato anche Funding Choices, il servizio che amplia il vecchio Google Contributor che già permetteva di rimuovere le pubblicità di Adsense in cambio di pagamento a compensazione dei publisher. L’idea è che sia l’utente a scegliere se disabilitare il blocco dei banner o pagare per rimuoverli, tutti e indifferentemente. A prescindere da quanto siano molesti.

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