Motorizzazione giapponese di etichetta austriaca. In attesa del grande salto, forse

martedì 16 febbraio 2021 · Dal paddock
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Tutti d’accordo, squadre, promotori e Fia: è passata la mozione sul congelamento dei motori dal 2022 per tre stagioni, ovvero fino a che non entrerà in vigore la nuova normativa. Un modo come un altro per risparmiare in tempo di austerity. E spostare le risorse sul futuro.

Ma nell’immediato è un accordo che offre a Red Bull e Alpha Tauri il paracadute normativo per mantenere i motori dell’Honda fino al 2024 nonostante il ritiro della casa di Tokyo, quella bomba imprevista che è esplosa l’anno scorso.

Cosa cambia: niente fino al 31 dicembre 2021, cioè fino alla scadenza naturale del contratto con l’Honda. Dal giorno seguente, tutte le operazioni della divisione motoristica passano sotto la responsabilità diretta di Red Bull, motivo per cui il motore viene rietichettato con il marchio dell’energy drink.

Etichetta comunque fittizia, almeno per il triennio di transizione, in attesa che prenda corpo quella struttura autonoma a cui il gruppo di Mateschitz pensa da anni: un reparto che si occupi del motore dalla progettazione alla realizzazione, affinché il team sia fornitore di sé stesso, un costruttore completo, soprattutto più stabile sotto le incertezze dei motoristi ufficiali.

Per questo sforzo tecnico è già operativa Red Bull Powertrains che ha l’ausilio di Avl. Perché incorporare le fabbriche inglesi dell’Honda – che già stanno a Milton Keynes – non fa parte dei piani: “Quelle sono più votate all’elettrico”, dice Helmut Marko.

L’indipendenza tecnica non è un miraggio. “Ma se viene fuori un partner interessante – l’ammissione di Horner – potremmo anche ripensarci”.

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