Dieselgate, atto secondo: quell’accusa a Fiat Chrysler coi distinguo di Marchionne

sabato 14 gennaio 2017 · Fuori tema
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È l’atto secondo del dieselgate, lo scandalo delle centraline che taroccano le emissioni dei motori diesel: “Ancora una volta – scrive l’Epa, Agenzia per la protezione dell’ambiente – una casa automobilistica ha assunto una decisione per schivare le regole ed è stata scoperta”.

Fu Volkswagen a settembre del 2015, adesso sullo stesso tema il Dipartimento di Giustizia statunitense apre un’inchiesta su Fiat Chrysler.

All’epoca le autorità americane contestavano alla casa del maggiolino quell’algoritmo che modificava il funzionamento del motore e lo portava sotto la soglia critica delle emissioni di monossido di azoto. Oggi Sergio Marchionne il parallelo con il caso di Volkswagen lo contesta:

Il defeat device di Volkswagen funzionava per distinguere tra le operazioni normali e le operazioni di collaudo. La vettura nostra si comporta allo stesso modo sul banco di prova e in strada.

Ovvero, se l’Epa ritiene che alcuni modelli di Fca non rispondano alle norme, comunque non denuncia l’intenzione di barare alle verifiche tecniche.

La scossa comunque giovedì s’è sentita: Fca è crollata in borsa, ha perso il 16% trascinandosi dietro pure Exor, però Marchionne evidentemente è stato tranquillizzante, il mercato gli ha dato credito e il titolo almeno a Piazza Affari è risalito del 4.6%.

Del resto, l’Epa con il passaggio di consegne alla Casa Bianca sta virando verso una linea più morbida, Fca da parte sua prima che scoppiasse il caso aveva annunciato un miliardo di dollari di investimenti per modernizzare e rilanciare due stabilimenti del Midwest. Il rischio di una mazzata da tracollo è leggero. E questo è un distinguo così evidente da leggere che Marchionne non ha dovuto nemmeno suggerirlo.

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