Da Indy ad Austin, passando per il Glen: tutte le piste dove ha corso la Formula 1 negli Stati Uniti
giovedì 20 ottobre 2016 · Amarcord
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Long Beach. Nella contea di Los Angeles, è la pista che ha messo fine alla carriera di Regazzoni. Debutta nel 1976, nelle intenzioni deve ricreare Montecarlo, ma secondo Lauda è “più facile e sconnessa”. La promozione è aggressiva, la mente è Chris Pook, è sempre lui che nel 2014 cerca di riproporre il progetto a Ecclestone.
Las Vegas. Nella patria del gioco, si corre negli anni Ottanta nel parcheggio del Caesars Palace, su un tracciato senza varietà di curve, veloce per gli standard dell’epoca e piatto come un biliardo. Due edizioni in tutto, entrambe decisive per l’assegnazione del titolo nel 1981 e nel 1982. Ma si gareggia anche nell’83 e nell’84 per la Formula Cart. Non più fruibile dopo la ristrutturazione dell’area.
Detroit. Su fondo sconnesso, è la pista che Prost e Piquet contestano pubblicamente. Ma è un successo nella colonizzazione dell’America perché con il debutto a Detroit nel 1982 la Formula 1 ha tre gare negli Stati Uniti.
Dallas. Altro fiasco sotto il profilo dell’organizzazione e dell’interesse del pubblico: la prima e ultima edizione è del 1984, l’asfalto non regge, la sicurezza è precaria. L’altro pericolo è il caldo: la corsa è anticipata alle 11 per sfuggire al solleone. Mansell per l’afa accusa un malore mentre spinge sul traguardo la Lotus.
Phoenix. L’esordio è del 1989, l’affluenza è minima, il caldo è disumano. E la pista per l’ennesima volta non è il massimo: cittadina, meno di quattro chilometri, undici curve ad angolo retto, tutte uguali. Eppure, in ballottaggio c’era Laguna Seca: decentrato e angusto l’aveva giudicato la Formula 1.
Austin. La pista che riconcilia la Formula 1 con l’America. Impianto ultramoderno, un autodromo permanente in controtendenza negli anni dei tracciati cittadini. Spettacolare l’arrampicata verso la prima curva, cieca, il punto più alto del circuito.