Copenaghen, New York, Bari e perfino la Tunisia: tutte le sedi che vogliono un Gran Premio

mercoledì 14 febbraio 2018 · Politica
tempo di lettura: 3 minuti

Non costa quanto un’Olimpiade, porta soldi, muove masse e può sempre funzionare come propaganda politica. La Formula 1 resta un traguardo ambito per governi e imprenditori, è lunga la lista delle sedi che per vie ufficiali o ufficiose hanno espresso interesse a prendersi – o riprendersi – una tappa. Da Copenaghen ad Hammamet, in ordine di credibilità, chi ha più chance e chi sta bluffando.

Copenaghen. Allo stato attuale, la proposta più solida e interessante. Obiettivo, 2020. L’interesse di Liberty per la Danimarca è concreto, i paesi nordici rappresentano un’area ancora inesplorata. Ma la bozza del circuito ricorda la proposta di Bangkok. Con tutte le perplessità del caso.

Zandvoort. Nel 2016 è partito uno studio di fattibilità per pesare il rientro nel giro. A novembre quello studio ha dato riscontro positivo. Verstappen potrebbe correre in casa già nel 2019.

Assen. E per il Gran Premio d’Olanda si sta muovendo pure Assen: la Fia ha già mandato Whiting, i requisiti per la licenza di grado 1 sono rispettati.

Imola. L’omologazione c’è, la volontà pure. I soldi chissà. Nel 2016 quando Monza era in cattive acque il Santerno ha provato lo sgambetto.

Istanbul. Carey nel 2017 s’è visto con Erdogan per rivalutare Istanbul Park, uno dei lavori meglio riusciti di Tilke, un gioiello perduto che nel 2015 è diventato un punto di noleggio per auto usate. La trattativa è in stallo, l’impressione è che quel meeting fosse una trovata strategica alla vigilia delle presidenziali.

Drapetsona. L’idea è venuta nel 2012 ad Athanassios Papatheodorou, architetto nonché amministratore delegato di Dielpis Formula 1, la società che conta di portare un giorno la massima serie al Pireo. La Grecia finanziariamente e politicamente non è stabile, il progetto resta in naftalina.

Kyalami. La pista cerca il rilancio, misura la Formula 1 ma non l’insegue a tutti i costi: “Finanziariamente non è fattibile con l’attuale struttura dello sport”. Eppure il mondiale ha bisogno di una tappa in Africa per essere davvero… mondiale.

New York. O meglio, Port Imperial: Carey vuole riprendere in mano il progetto del New Jersey. E vuole che si corra in notturna. Il che non rappresenta la soluzione più auspicabile per l’audience delle televisioni europee dal momento che ci sono cinque ore di differenza con Londra, sei con Roma. Teoricamente la gara partirebbe quando in Italia sono passate le 2. Di lunedì mattina, del resto…

Long Beach. Ci stava lavorando già Ecclestone. Zak Brown comunque segnala un aspetto cruciale: “Ci vorrebbe un circuito più lungo, con vie di fuga più larghe e un complesso dei box più adeguato”.

Buenos Aires. Siccome il Brasile rischia il taglio, la Formula 1 cerca un ripiego in America Latina: Whiting è stato all’Oscar Galvez per segnare le linee generali d’intervento. Anche qua, ristrutturare e stipulare un contratto è un’altra storia.

Bari. Rievoca il passato glorioso delle competizioni degli anni Cinquanta alla Fiera del Levante, dietro al progetto c’è Fabio Montecalvo, imprenditore, manager, eclettico, trasversale: “La Puglia merita una vetrina internazionale”. Centodieci e lode per l’ottimismo. Ma il resto?

Hammamet. Un consorzio internazionale sta lavorando a un’area turistica e residenziale, nel piano c’è un circuito per la Formula 1. L’esca giusta per trovare i finanziamenti per costruire solo il resto.

Buenos Aires, Carey, Ecclestone, Fia, Imola, Istanbul, Kyalami, Port Imperial, Whiting, Zandvoort,